Si tratta di una tecnica descritta da David Goggins nel suo bestseller “Niente può fermarti”. 

Come funziona? Si tratta di: 

  • scrivere i tuoi obiettivi su alcuni foglietti, come dei post-it 
  • appiccicarli allo specchio 

Ogni giorno, una volta alzato, andando ad esempio in bagno, troverai i post it allo specchio e dovrai rendere conto a te stesso di quanto ti sei prefissato.

Un esempio?

Se stai cercando di dimagrire di 20 kg:

  • scrivere sul post-it il primo obiettivo, come buttarne giù uno nella prima settimana
  • una volta raggiunto, stacca il foglietto e passa a quello successivo, ovvero due chili, finché non taglierai il traguardo tanto ambito.

Si tratta di una sorta di metodo delle liste, con un buon rilascio di endorfine nell’atto di strappare il post it. 

Usi lo specchio delle responsabilità per raggiungere i tuoi obiettivi?

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Non ho tempo…o non ho tempo per determinate attività?

Come faccio a non avere mai tempo? Se stai leggendo queste righe ti sarà sicuramente capitato di farti questa domanda.

Negli ultimi anni sono fioccati i libri, APP, con un unico obiettivo: ottimizzare i tempi, risparmiare tempo, sì insomma rispondere proprio a quella domanda con cui abbiamo iniziato.

Ma…aspetta: è veramente quella la domanda giusta? O forse quando ci diciamo “non ho tempo” stiamo forse chiedendoci qualcosa di più sottile, ovvero “perchè non ho tempo per fare determinate attività”?

1440 minuti ogni 24 ore

Ogni mezzanotte, allo scoccare dell’ora, ci viene fornita in automatico una risorsa quotidiana: è una valuta, né fisica né digitale, che si resetta alla mezzanotte successiva e ha un’unità precisa: 1440.

1440 sono i minuti che compongono 24 ore.

E qui veniamo alla seconda domanda: dato che stiamo cercando di capire perchè non ho tempo per fare determinate attività” forse dovremmo prima chiederci: “come occupo quotidianamente i 1440 minuti del mio tempo?”.

Come riempio quei 1440 slot che mi vengono forniti alla mezzanotte di ogni giorno?

Attenzione: la risposta non dovrebbe essere un generico “qualche ora qui, qualche lì…” perché come il diavolo si nasconde nei dettagli, anche il tempo ulteriore lo fa, come vedremo.

Tempo in più? Ma se i minuti sono 1440 e stop? Vero, non ci sono deroghe. Ma possiamo riappropriarci di quei 1440 minuti. 

Ma come, il tempo è mio, lo gestisco a piacere! Really?

Il motore automatico del tuo tempo

Ogni giorno prendiamo molte decisioni. Sapresti quantificarle? Magari ora stai pensando ad un numero. Peccato che quella cifra non è neanche lontanamente vicina al numero reale.

Sai perché? Perché la stragrande maggioranza di quelle decisioni è inconscia, automatica.

Sì, noi essere pensanti e dotati di libero arbitrio siamo in realtà macchine col pilota automatico. E per fortuna!

Ogni giorno prendiamo almeno 35.000 decisioni.

Non solo: il 99,74% di queste decisioni è inconscia, e per fortuna dicevamo un momento fa: te lo immagini il cervello che in ogni momento deve decidere ogni piccola azione?

Entreremmo in uno stato di sovraccarico mentale permanente. 

Ecco allora che interviene l’inconscio, che sulla base delle nostre abitudini, vostre paure, i vostri desideri, valori e obiettivi, effettua automaticamente alcune scelte.

Automaticamente, senza rendersene conto, in modo inconsapevole.

Sei consapevole di cosa riempie i tuoi 1440 minuti quotidiani?

Se è così, Houston, abbiamo un problema! La macchina va da sola! 

C’è una buona notizia però: possiamo tornare a manovrarla. Come?

Iniziando a capire in che direzione va: sì, perché, quando la barca va, lasciala andare, ma il nostro tempo…anche no!

Il tempo scorre senza sosta e c’è sempre qualcosa che lo riempie: il problema è che se non ne siamo consapevoli magari ci sarà qualcos’altro che lo riempie al posto nostro? Ad esempio? I famigerati social!

E’ un caso, ancora una volta, che siano fioccati libri e APP sulla limitazione del tempo sui social e sia nato anche un termine, Digital Detox?

C’è sempre qualcosa che finisce per riempire il nostro tempo, che lo vogliamo o no: l’unico modo per decidere come lo posso riempire, di diventare padroni del nostro tempo senza farsi governare dal pilota automatico è aumentare la consapevolezza, per vivere ogni momento della nostra giornata in piena consapevolezza e decidere come riempirlo.

Come? Iniziando a cercare di capire come riempiamo ora i 1440 minuti. Saperlo non aumenterà i minuti, ma almeno ti fornirà la scelta consapevole di come colmarli.

5 Tipologie di tempo

Avere più tempo? Decidere consapevolmente cosa farne? Il primo passo è capire come viene colmato ora: avere una visione complessiva del tempo a tua disposizione ti consente di decidere cosa farne.

Ti propongo questa classificazione in 5 tipologie che ho trovato nel “Il tuo tempo è infinito” di Fabien Olicard: partiamo dalla prima.

Il tempo del lavoro

Il tempo del lavoro è quello che finalizzi ad un compenso, diretto o indiretto.

Il tempo personale

Il tempo personale è quello dedicato ad attività relativamente produttive e utili, ma non obbligatorie. Può essere  qualsiasi altra cosa di tuo gusto, una vacanza,  giocare alla Playstation, guardare un film o stare al telefono con gli amici. Basta che l’attività in questione non sia percepita come un obbligo e che sia scelta consapevolmente.

Il tempo per sé stessi

Rientra nel tempo per sé stessi  tutto ciò che fa bene alla mente, al corpo e all’anima. Un esempio? Secondo Olicard “apprendere e acquisire nuove competenze senza un obiettivo specifico, come leggere un libro, suonare uno strumento, imparare una lingua, ma anche praticare yoga o uno sport tipo il cardiofitness, andare in palestra ecc. O ancora attività legate all’introspezione e alla spiritualità”. Tutto ciò che migliora lo stato fisico, mentale o spirituale va classificata come tempo per se stessi.

Il tempo obbligatorio

E’ il tempo che occupi per gli spostamenti, le faccende domestiche, l’amministrazione: tutto ciò che sei costretto a fare e ti risulta in qualche modo sgradevole. In questa categoria Fabien fa rientrare anche i bisogno fisiologici come dormire, mangiare e curare l’igiene personale.

Il non tempo o tempo perso

È il tempo che non rientra in nessuna delle precedenti categorie.

Sono tutte le azioni che fai senza esserne pienamente consapevole e la cui durata supera spesso quella che avevi pianificato o pensi di averci occupato e che non t procurano alcun particolare piacere o dispiacere.

Un esempio: ancora una volta la famigerata timeline di Facebook, aperta non consapevolmente, per piacere, ma in un momento di noia, e in cui pensiamo di passare 15 minuti a poi…sono 45!

Come prendere il controllo del tuo tempo

Ora che hai uno schema per classificare il tuo tempo che si fa? Ti lascio con un consiglio e alcune domande.

  1. Inizia ad elencate tutte le attività, quantificate e raggruppale. Avrai una visione chiara, obiettiva e indiscutibile di come utilizzate il vostro tempo in modo consapevole.
  2. Come sono ripartiti i 1440 minuti di ogni giornata nelle 5 categorie? Il tempo perso quanto assorbe di tempo che potresti occupare altrove, ad esempio nel tempo per te stesso o nel tempo del lavoro?
  3. Come puoi ottimizzare il tempo obbligatorio?

Ah, la lettura di questo articolo e l’esercizio in cosa rientra? Dato che è qualcosa che hai deciso di fare per migliorare la tua vita, il tempo che gli hai dedicato rientra nella categoria del tempo per se stessi.

un piccolo passo può cambiarti la vita maurer kaizen

Recentemente ho riletto un libro che ho finito di leggere la prima volta la fine del 2014: si tratta di Un piccolo passo può cambiarti la vita: il metodo Kaizen applicato alla realtà di tutti i giorni di Robert Maurer, psicologo e professore alla University of California di Los Angeles che, oltre ad essere l’autore di questo bel libro, è l’artefice della trasposizione del metodo Kaizen dall’ambito aziendale a quello personale

Perché rileggere un libro che ho letto molti anni fa?

In questo esatto periodo della mia vita, con la nascita di mio figlio e il conseguente stravolgimento di vita e di tempo :] sentivo il bisogno di un’ispirazione al cambiamento, ma non inteso come grandi azioni eroiche e innovative – per quello ci sono già le notti insonni 😉 – ma sotto forma di piccoli e costanti passi.

Tra l’altro la lettura di questo libro mi ha dato lo spunto per due nuove belle abitudini:

  • la prima: nel momento in cui finisco un capitolo detto le parti salienti del capitolo al mio smartphone, con la digitazione vocale e utilizzando un semplice Google Doc: in questo modo, soprattutto per chi ha una memoria molto a breve termine come la mia, evito di dimenticarmi un’ora dopo quello che ho letto;
  • inoltre questo metodo mi è servito anche per creare un primo scheletro di un articolo e allora…mi sono chiesto perché non unire l’utile al dilettevole e riprendere le pubblicazioni su Massimamente.it? E rieccoci qua, ecco quindi il primo articolo dopo una lunga pausa.

Iniziamo quindi a vedere insieme i punti salienti che cosa mi ha colpito di questo bel libro di Robert Maurer, andando avanti capitolo dopo capitolo.

Capitolo 1: Perchè il Kaizen funziona

Ci sono due modi per cambiare:

  • l’innovazione che consiste in un cambiamento drastico chi si realizza in un periodo di tempo breve;
  • L’alternativa è metodo Kaizen, termine giapponese che significa cambiare per il meglio che consiste nel compiere piccoli passi in direzione dei propri obiettivi;

La differenza? Il primo metodo provoca la reazione dell’amigdala la con conseguente paura, blocco, inazione e autosabotaggi, il secondo aiuta la mente ad aggirare le paure create dall’amigdala,  creando nuovi collegamenti neuronali e nuove abitudini.

Capitolo 2: Poniti domande semplici

L’ippocampo, situato nel cervello mammaliano, decide quali informazioni immagazzinare e quali recuperare con un criterio decisionale che è la ripetizione.

Di conseguenza ripetere in continuazione una domanda costringe il cervello a prestare attenzione e a dare una risposta.

Questo purchè le domande siano semplici e non troppo impegnative da scatenare l’amigdala, ad esempio:

  • Qual è il passo più piccolo che posso compiere per…?
  • Che cosa posso fare per 5 minuti al giorno per…?
  • Come faccio a trovare una sola fonte di informazioni su…?

Scegli una domanda semplice e ponitela ripetutamente per parecchi giorni o settimane in maniera metodica.

Capitolo 3: Pensa in piccolo

La scultura mentale si basa su recenti scoperte della neurologia secondo cui il cervello apprende più facilmente per incrementi piccolissimi che non a grandi dosi.

Ideata dallo psicologo irlandese Ian Robertson nel suo libro Il cervello plastico, questa teoria ipotizza che il cervello non capisce la differenza tra un’attività realizzata concretamente e vividamente immaginata con tutti i sensi: nonostante ciò, anche sono immaginando la situazione, si possono creare nuove connessioni neuronali.

Ecco alcuni consigli di Robert Maurer in proposito:

  • dedica alla scultura mentale pochi secondi ogni giorno così da essere certo di poterlo fare e farlo in maniera ripetuta: la ripetizione é infatti fondamentale
  • se ti accorgi di trovare scuse per non farlo, riduci la quantità di tempo che ci dedichi
  • che cosa vedi? Che cosa senti? Che cosa percepisci? Immagina la situazione con tutti i sensi e assicurati che sia una situazione che termini in maniera positiva

Capitolo 4: Fai azioni poco eclatanti

Le statistiche ci dicono che il classico proponimento di inizio anno viene ripetuto per 10 anni di fila con una quota di rinuncia del 25% nel corso delle prime 15 settimane e una riproposizione all’anno successivo.

Questo perché, passato l’entusiasmo iniziale, le azioni richieste per il cambiamento incontrano la rinuncia. In questo l’approccio Kaizen può venire in aiuto.

Le prime azioni Kaizen dovrebbero essere talmente limitate da sembrare quasi irrisorie. Questi piccoli gesti:

  • ingannano il cervello facendogli credere che non ha bisogno di allarmarsi aggirando con l’astuzia la reazione di paura
  • allo stesso tempo però i piccoli gesti consentono al cervello di crearsi nuove abitudini permanenti, nuove connessioni neuronali e soprattutto nuove abitudini.
  • il piccolo passo iniziale conduce senza traumi a un secondo, poi a un terzo finché…si scopre che il cambiamento si è avverato, oltre a dimostrare che puoi realizzare ciò che vuoi

I piccoli passi inoltre consentono di superare il pregiudizio culturale per cui cambiamenti dovrebbero:

  • essere sempre istantanei
  • richiedere una grande autodisciplina
  • non essere piacevoli

Ad esempio uno studio della Adelphi University vicino a New York ha dimostrato che chi usa il tapis roulant per soli 4 minuti al giorno 4 volte alla settimana raggiungendo il 70% della propria frequenza cardiaca massima si ottiene un aumento del 10% della capacità aerobica, la stessa percentuale di coloro che si allenano per 20 minuti al giorno.

Un buon esempio di approccio produttivo no?

Ecco alcuni suggerimenti di Robert Maurer a proposito delle piccole azioni:

  • se non riesci nemmeno a iniziare una nuova cosa con una piccola azione prova a ridurla in modo da rendere impercettibile lo sforzo
  • ricorda che un cambiamento lento è sempre meglio di nessun cambiamento
  • chiediti: quale piccolo passo insignificante posso fare per…? Una volta compiuto il primo passo puoi compiere il secondo nel momento in cui il primo sia diventato automatico spontaneo e addirittura piacevole, senza commettere l’errore di accelerare il ritmo del cambiamento se non te la senti.
  • zittisci le critiche che richiedono a te azioni coraggiose e immediate: è un mito che la severa autocritica educa a migliorare il proprio rendimento, in realtà stimola la reazione di attacco e fuga e ostacola qualsiasi progresso. La vocina interiore si può far tacere prendendone coscienza e adottando i piccoli passi Kaizen che servono a placare le paure associate ai cambiamenti.

Capitolo 5: Risolvi i micro problemi

Spesso trattiamo con superficialità i piccoli problemi che incontriamo.

Il problema è che, quando si accumulano, ostacolano i grandi cambiamenti. imparare a risolvere individuare i miei piccoli problemi può evitare di ricorrere a conseguenze molto più dolorose in seguito.

Capitolo 6: Concediti piccole ricompense

Skinner, uno psicologo comportamentale americano del 900, aveva elaborato la filosofia del rinforzo positivo, un metodo per modificare i comportamenti mediante un sistema di ricompense.

La novità dell’approccio Kaizen consiste nelle entità delle gratificazioni, che dovrebbero essere piccole perché alimentano le motivazioni interiore necessarie per operare cambiamenti duraturi.

Capitolo 7: individua i dettagli cruciali

Spesso i piccoli dettagli insignificanti portano a grandi scoperte o a grandi cambiamenti. Individua quali sono!

Conclusioni

Cosa ne pensi di questo approccio a piccoli passi al cambiamento? L’hai sperimentato nel perseguimento di un tuo obiettivo? Parliamone nei commenti.

Al tuo prossimo piccolo passo,

firma emanuele

Una massima zen recita: Quando l’allievo è pronto, il maestro appare Per dirla in modo meno zen, potremmo dire che quando il frutto è maturo, cade dall’albero.

Cosa significano queste 2 massime?

Viviamo in una società governata dal tutto e subito: le società devono diventare prospere appena possibile, il successo deve arrivare subito, i soldi devono essere immediati…e così via.

Peccato che in natura ogni cosa si evolva secondo i propri tempi: l’uomo ha dovuto attendere milioni di anni prima di divenire nella sua forma evoluta, il frutto prima di maturare ha bisogno di tempo, la crisalide non diventa immediatamente farfalla…non prima di essere stata crisalide.

Insomma, l’evoluzione, la maturazione, lenta e progressiva sembra essere una caratteristica universale: perchè questo non dovrebbe valere per noi come persone, professionisti, aziende?

Quello che ho notato, e avrai notato probabilmente anche tu, è che molto spesso prima che si ottengano certi risultati a cui ambiamo, certi cambiamenti che desideriamo, è necessario del tempo per essere pronti ad accogliere quel cambiamento, a maturarlo, o semplicemente ad accettare una certa soluzione.

Ti è mai capitato di venire a capo di un problema su cui ti scervellavi da tempo così, in maniera instantanea? O di trovare la persona giusta che cercavi in modo apparentemente casuale?

Bene, la soluzione al problema, la persona giusta sono il maestro che appare, ma attenzione: non è apparso immediatamente, quando hai iniziato a volere la soluzione a quel problema o a cercare quella persona, ma quando l’allievo, ovvero tu, io, siamo stati pronti ad accoglierlo.

Per dirla in altre parole, quando siamo stati abbastanza maturi da cadere dall’albero.

A volte biasimiamo il fatto di non aver scoperto prima una certa cosa, o non aver imparato prima, o non essere diventati prima una certa persona.

Il punto che “prima” non eravamo pronti, maturi a scoprire, imparare, essere quello che volevamo.

Il tempo che è intercorso dal desiderio all’ottenimento di ciò che desideriamo è stato il tempo necessario per maturare, per divenire pronti.

Se leggiamo la storia della nostra vita in questa prospettiva, gli eventi, i periodi, i momenti in cui non siamo stati il meglio di noi stessi sono stati momenti necessari a maturare quel che siamo ora.

Se certe occasioni ci fossero capitate prima, in un dato momento della nostra vita, non necessariamente sarebbe stato meglio: avremmo potuto non sfruttarle, non coglierle, perchè non c’era l’humus giusto a farle crescere e maturare.

Tu cosa ne pensi? Ci sono stati eventi, successi, persone nella tua vita che è stato meglio che siano venute tardi o dopo di quando avresti voluto?

 

Quando pensi a un’immagine che sia rappresentativa della vita e dell’universo, spesso si pensa, come avviene nella Cabala, all’albero. Un albero può costituire una metafora efficace della vita, forse perchè le radici, il tronco, i rami, le foglie e i suoi frutti evocano il percorso di crescita ed evoluzione di ognuno di noi.

Tuttavia, se ci pensi bene, la tipologia di albero che forse più assomiglia al nostro percorso vitale è quella del bonsai.

Immagino tu conosca i bonsai, i piccoli e graziosi alberi in miniatura solitamente contenuti all’interno di vasi. In realtà “bonsai” è il nome di una tecnica, il cui scopo è riprodurre la natura in piccole dimensioni, spesso all’interno di un vaso.

Bene, per rendere la pianta più forte e adatta a sopravvivere negli spazi desiderati, si procede a un processo di potatura che coinvolge spesso le radici ridondanti e i rami, al fine di raggiungere la forma e l’armonia desiderata.

Hai capito? Il bonsai sopravvive, si evolve all’interno del suo spazio e trova la sua armonia e forma ideale (quella che noi vogliamo dargli) proprio perchè taglia le radici divenute ingombranti rispetto al nuovo spazio e i rami oramai secchi, morti o che non rientrano nella forma che vogliamo dare all’albero.

Non trovi che il processo di potatura del bonsai assomigli a un processo che dovremmo effettuare un pò più spesso anche nella nostra vita? Ci impegniamo ogni giorno a dare una certa forma alla nostra vita, a raggiungere un’armonia, ma per riuscirci veramente forse è necessaria talvolta procedere a una potatura, una pulizia delle radici del passato divenute oramai troppo ingombranti rispetto alla vita che vogliamo vivere e ai rami divenuti ormai secchi, o addirittura morti, o vivi ma che vanno in una direzione che non è quella che vogliamo prendere.

Quali sono le radici ingombranti e i rami secchi nella tua vita?

Tutti noi abbiamo un passato, un trascorso, che nel bene e nel male, ci ha portato ad essere quel che siamo. Ma a volte questo trascorso, in forma di persone, esperienze, ricordi o convinzioni, ci radica troppo a uno stile di vita che non ci rappresenta più.

Riprendendo l’analogia del bonsai, questo passato sono le radici ingombranti, quelle che sforano rispetto alla forma che desideriamo, compromettendo l’armonia del tutto.

Non solo: come nell’albero la linfa nutre tutte le parti, quelle vive e quelle secche, così nella nostra vita talvolta impieghiamo tempo ed energie per nutrire non solo le parti che ci rendono felici, ci realizzano e ci danno piacere, ma anche relazioni tossiche o esaurite, convinzioni inattuali e abitudini dannose.

Quali sono le radici ingombranti della tua vita da potare?

Potrebbero essere un lavoro che svolgi da lungo tempo, radicato, ma che oramai non sta più nei tuoi panni, una persona che appartiene al tuo passato, o semplicemente una convinzione, un’immagine di te stesso che ti porti dietro da tanto tempo ma in cui non ti senti più rappresentato.

Ma attenzione: il processo di potatura non coinvolge solo le radici, ma anche i rami.

Cosa rappresentano i rami nella nostra vita? Forse certe relazioni, attività, che sono nate più di recente rispetto alle radici ma sono cresciute. Tuttavia forse non danno più frutti, perchè sono secchi, o morti, o semplicemente hanno preso troppo spazio rispetto a quello che vuoi nella tua vita.

Quali sono i rami secchi nella tua vita da potare?

Anche qui potrebbero essere delle relazioni, delle persone, delle attività o delle cattive abitudini e anche qui come nelle radici ingombranti la loro potatura è indispensabile all’armonia e alla forma che vogliamo dare alla nostra vita.

Come procedere alla potatura  e vivere in armonia

Bene, a questo punto come possiamo procedere alla potatura delle radici del passato divenute ingombranti e ai rami ormai secchi?

Il primo passo è individuarli.

Pensaci: cosa c’è nella tua vita a cui dedichi tempo ed energie senza riceverne piacere, senza volerlo veramente, solo per dovere o abitudine?

Possono essere relazioni portate avanti per inerzia, attività che non vuoi lasciare solo perchè le hai iniziate tanto tempo fa ma che non portano risultati nè piacere, abitudini dannose, che porti avanti in quanto abitudini.

Un buon modo per individuarle è la metafora del conto corrente emozionale di Stephen Covey, autore di le Le sette regole per avere successo.

Il conto corrente emozionale

Secondo la metafora del conto corrente emozionale i nostri rapporti con le persone sono regolati con un conto corrente: ci sono dei versamenti e dei prelievi.

E’ chiaro che se in una relazione, ma potremmo anche dire in un’attività, un hobby, un lavoro, ci sono più prelievi che versamenti, prima o poi il conto va in rosso.

E se va in rosso, significa che è fallito, finito.

Se pensiamo ai versamenti alle volte che un’attività, una persona ci ha dato soddisfazioni, piacere e ai prelievi a quando ne ha tolto, capiremo subito quali sono i rami secchi e le radici ingombranti della nostra vita.

Tagliare i rami secchi può essere difficile e doloroso: ma quanto piacere, quanta linfa vitale ne può venire per le attività, le persone che veramente ci danno piacere e che meritano più linfa, energie e tempo dei rami secchi e delle radici divenute oramai ingombranti?

 

Ok, il titolo è provocatorio. Mi dirai: ma come, un’affermazione come questa in un blog di crescita personale, che di natura dovrebbe incitare al miglioramento dei propri punti deboli, al superamento dei propri limiti?

Però c’è un però. Ci sono due tipologie di miglioramento, il miglioramento incrementale e il miglioramento esponenziale. Come vedremo tra poco, il rapporto tra lo sforzo compiuto per migliorare i propri punti deboli rispetto al risultato che possiamo ottenere, comporta che concentrarsi a migliorare i propri punti deboli…

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Poco chiaro? Cerchiamo di chiarirlo insieme.

Crescita Incrementale e Crescita Esponenziale

Si possono verificare due tipi di crescita: incrementale ed esponenziale. La prima si verifica quando abbiamo un aumento incrementale: ad esempio, il nostro livello di inglese è, supponiamo, a un livello B2 e tramite lo studio incrementiamo al livello successivo C1.

Un aumento esponenziale si verifica invece quando, come funziona per l’esponente matematico, il progresso avviene alla seconda, alla terza, alla quarta e così via.

Ovvero, per fare un esempio matematico:

Miglioramento incrementale: 2+1=3

Miglioramento esponenziale: 2²=4

Qual’è la maniera più veloce per progredire? Chiaramente l’esponenziale!

Riprendiamo il nostro livello di inglese. Con un miglioramento incrementale passerai da B1 a B2, DA B2 A C1…and so on. Con un miglioramento esponenziale potrai passare da B2 a C2, due livelli più avanti!

Perchè puntare sui propri punti di forza che sui propri punti deboli

Ok, mi dirai tu, non devo preparare l’esame di analisi matematica (e con le mie spiegazioni non arriveresti nemmeno al 18 😉 ), cosa c’entra questo con il miglioramento dei miei punti deboli?

Ce lo spiegano Timothy Ferris, autore del bestseller 4 ore alla settimana, e Richard Kock, autore di una serie di bestseller (anche lui!) sul principio 80/20 come 80/20 la formula vincente. Meno lavoro meno fatica, più risultati più successo, di cui abbiamo parlato in questo post: Sei Produttivo o soltanto Attivo? Pareto e Parkinson, 2 Approcci per Aumentare la Tua Produttività.

Partiamo da Ferris. Siamo franchi: tutti noi abbiamo dei veri e propri talenti, delle cose che solo noi riusciamo a fare così bene, ad imparare al volo, che ci vengono naturali, come respirare, mentre altre in cui ci sentiamo negati. Nei primi eccelliamo, gli altri ci guardano e ci dicono: ma come fai? Io ci ho messo una vita a capirlo, a farlo, ad impararlo…nei secondi questa domanda siamo noi a rivolgerla agli altri 🙂

Non è solo questione di impegno, di passione: ci sono dei campi, delle discipline, delle attitudini che per natura ci riescono bene e altre in cui siamo delle pippe.

Certo, impegnandoci, mettendoci passione e impegno (a proposito di impegno, hai letto l’articolo Resisto Dunque Sono: come Diventare un Campione di Resilienza?) possiamo migliorare. ma è questo il punto: il miglioramento dei nostri punti deboli è incrementale, non esponenziale.

Ipotizziamo che io (non è un’ipotesi, è un dato di fatto purtroppo 🙁 ) non sia propriamente portato per le azioni manuali, tipo il bricolage. Ipotizziamo che io faccia un corso intensivo di bricolage, ci metta impegno, tempo e passione, mi schiacci anche un dito con il martello. Alla fine da negato, pessimo, divento mediocre.

Ottimo risultato! E’ un risultato incrementale però, ho fatto 2+1.

Ipotizziamo d’altra parte che io mi impegni a migliorare qualcosa in cui sono portato, in cui vado forte, che mi viene naturale. Mettendoci più impegno, tempo e passione, i miglioramenti non saranno incrementali, ma esponenziali: da 2+1 a 2²!

La morale della favola, almeno secondo Timothy Ferris in 4 ore alla settimana, è:

concentrati sul miglior uso delle tue armi migliori, invece di dedicarti a correggere i tuoi difetti

Valorizza i tuoi punti di forza, invece di aggiustare i punti deboli: per dirla alla Ferris, la scelta è tra <<la moltiplicazione dei risultati utilizzando i tuoi punti di forza o il miglioramento incrementale aggiustando i punti deboli, che, al meglio, diventano mediocrità>>.

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Il Principio del Massimo con il Minimo

A Timothy Ferris fa eco Richard Koch, autore di 80/20 la formula vincente. Meno lavoro meno fatica, più risultati più successo. Come avrai intuito dal titolo, Richard Koch si basa sul Principio di Pareto, secondo cui la grande maggioranza dei risultati sono dati da una piccola quantità di cause.

Bene, secondo Koch

l’80% del vostro successo è dato dal 20% o meno delle vostre capacità e delle vostre conoscenze. Quali sono le cose che fate meglio rispetto ad altri e che vi rendono di più

Il punto, secondo Koch, è concentrarsi su ciò che può dare risultati straordinari senza comportare sforzi straordinari, il principio del massimo con il minimo.

Ma ciò che può dare risultati straordinari senza comportare sforzi straordinari è ciò dove andiamo bene, dove i nostri miglioramenti sono esponenziali, non incrementali.

Conclusioni

Cosa ne pensi di quest’idea? Meglio concentrarsi sul miglioramento dei propri punti deboli o gettarli a mare e far leva sui propri talenti? Hai delle esperienze a proposito?

Alla tua crescita personale,

firma emanuele

 

 

 

Oggi ti racconto delle storie, storie di persone comuni che si sono cimentate in un’impresa, in un’invenzione, in una causa, e hanno cambiato la storia del mondo. Il bello è che non erano nemmeno i primi a realizzare quel prodotto, a combattere quella battaglia e talvolta non erano nemmeno i più intelligenti, i più preparati, i più ricchi. Qual’è il loro Segreto? Aspetta: cominciamo dalla prima storia.

Perché comprare un lettore MP3 da un’azienda di computer?

La prima storia inizia qualche anno fa. Protagonista è la Dell computer, di cui sicuramente avrai sentito parlare. Bene, a un certo punto Dell ancia un nuovo prodotto sul mercato: i lettori MP3 e palmari. Prodotti di grande qualità, ben progettati, realizzati da un marchio leader nel settore dell’informatica. Hai mai comprato un lettore MP3 della Dell? Probabilmente no, e sei in buona compagnia. D’altra parte, mi dirai: Perché comprare un lettore MP3 da un’azienda di computer? 🙂
Pochi anni dopo, sarà proprio un’azienda di computer a lanciare sul mercato il lettore MP3 più famoso della storia, l’Ipod. Il nome dell’azienda lo conosci.
La domanda è: cos’ha Apple che Dell non ha?

Dalle biciclette al cielo

Hai mai sentito parlare di Samuel Pierpont Langley? Probabilmente no. Siamo all’inizio del ventesimo secolo, e l’uomo non era ancora riuscito a volare. Se ci pensi per noi è inconcepibile, in un’epoca in cui volare costa meno di prendere il treno! Ebbene Samuel Pierpont Langley voleva volare, per la prima volta nella storia. E aveva, è il caso di dirlo, il vento a suo favore: un fondo di 50.000 dollari dal dipartimento della Guerra, una cattedra ad Harvard, ottime relazioni. Soldi, Intelligenza, conoscenze giuste: la ricetta per il successo, o no? Eppure non ti viene proprio in mente il nome di tal Langley e dopo capirai perchè.

Qualche chilometro più in là a Dayton, Ohio, nello stesso periodo troviamo i fratelli Orville e Wilbur Wright, di professione fabbricanti e venditori di biciclette. I fratelli Wright non avevano i 50.000 dollari di Langley (si finanziavano con il ricavato del loro negozio di biciclette), non erano docenti universitari (non erano nemmeno stati all’università!!!) e il New York Times non li supportava (come invece faceva con Langley).

Ricapitoliamo i personaggi di questa storia:

Da una parte c’è Langley, con una missione: diventare ricco e famoso. Dall’altra abbiamo i fratelli Wright, con una mission: cambiare il mondo.

Come va a finire è storia nota: i fratelli Wright, a forza di schiantarsi ogni giorno (ogni volta che uscivano in volo, dovevano portare cinque set di parti di ricambio), il 17 Dicembre 1903 sono decollati, nell’indifferenza generale. L’impresa della storia non ha testimoni, e si sarebbe saputa solo qualche giorno dopo.

Il giorno dopo il felice tentativo dei fratelli Wright, Langley abbandonò. Com’è possibile che un uomo con tutte le carte per realizzare l’impresa del secolo viene superato da 2 fratelli senza mezzi? Cosa gli mancava? Cosa avevano i lettori MP3 Dell, perfetti sulla carta ma che nessuno ricorda come Langley, rispetto all’Ipod? Prima di scoprirlo ti parlo di una terza storia.

250 mila persone senza invito

E’ l’estate del 1963, l’America sta vivendo un difficile periodo di proteste per i diritti civili da parte della minoranza di colore. Tra loro numerose persone partecipano attivamente alla protesta, organizzano sit in e diffondono volantini. In quei giorni, 250.000 di loro si presentano in un centro commerciale a Washington. Non c’era stato nessun invito, non c’era nessun sito per controllare la data. Stavano andando ad ascoltare uno tra i tanti che partecipava attivamente alla protesta, un tal Martin Luther King.

Il punto che M. L. King non era l’unico grande oratore in America, non era l’unico uomo in America a soffrire della mancanza di diritti civili.

Ma sarebbe diventato il simbolo della protesta. Lui, e non altri oratori.

Perchè Apple, i fratelli Wright, Martin Luther King sono riusciti a distinguersi, ad imporsi tra le masse come simboli di un prodotto, un’invenzione, un’idea, pur non avendo (apparentemente) nulla di diverso e talvolta meno vantaggi?

Qual è il loro Segreto?

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Ce lo svela Simon Sinek, un antropologo prestato alla pubblicità, autore di Partire dal perché. Come tutti i grandi leader sanno ispirare collaboratori e clienti, che ha cercato di spiegare il segreto del successo di Apple, Martin Luther King e i fratelli Wright durante una conferenza TED, un’organizzazione non-profit il cui scopo è “la diffusione delle idee” attraverso conferenze internazionali.

Secondo Sinek c‘è un modello comune a tutti i grandi leader che danno ispirazione, che sia Apple, o Martin Luther King o i fratelli Wright: tutti quanti pensano, agiscono e comunicano nello stesso modo. La sfida di Sinek è stata codificare questo modello, farlo emergere, con un’operazione simile a quella fatta da Richard Bandler, il fondatore della PNL, con chi otteneva grandi risultati.

Questo modello è stato chiamato da Sinek il cerchio d’oro.

Il Cerchio D’oro

In cosa consiste il cerchio d’oro? Cos’ha di diverso Apple dalle altre aziende di computer e M.L. King dagli altri predicatori? Iniziamo col dire cos’hanno in comune:  tutti sanno come fare le cose. La Dell sapeva perfettamente come fare dei lettori MP3.

Il punto che molti sanno come fare le cose bene ma non sanno perchè le fanno. Prendiamo Apple: non dice semplicemente quello che fa, del tipo “facciamo PC fantastici, di design, veloci…”…No, Apple non comunica un prodotto, un come, ma un perchè lo fa. Per dirla con Sinek, il messaggio di Apple è più o meno: “In tutto ciò che facciamo, crediamo nelle sfide dello status quo. Crediamo nel pensiero diverso. Sfidiamo lo status quo facendo prodotti ben progettati, semplici da usare e intuitivi. E quindi facciamo computer fantastici. Ne volete comprare uno?”

Apple non comunica come fa le cose, ma parte dal contrario: comunica perchè le fa, perchè, come dice Sinek in Partire dal perché,

<<la gente non compra quello che fate; la gente compra il motivo per cui lo fate>>

Ecco allora che l’obiettivo non è fare affari con chiunque abbia bisogno di ciò che hai, ma è fare affari con gente che crede in ciò in cui credi, nel perchè ti motiva a fare quello che fai.

Il cerchio d’oro? E’ nella nostra testa

Belle parole? Indubbiamente. Ma non dimentichiamo che Sinek di Partire dal perché è uno scienziato, e il cerchio d’oro affonda le radici in principi di biologia. Se guardi una sezione di un cervello umano dall’alto, vedrai che è diviso in tre parti principali che collimano perfettamente con il cerchio d’oro.

  • Il nostro cervello più recente, il cervello di un Homo Sapiens, il neocortex, è responsabile di tutti i nostri pensieri razionali ed analitici e del nostro linguaggio;
  • le due sezioni intermedie sono il nostro sistema limbico. E il nostro sistema limbico è responsabile di tutti i nostri sentimenti, come la fede e la lealtà. E’ anche responsabile del comportamento umano, del processo decisionale, e non ha capacità di linguaggio.

Cosa fai quando proponi la tua causa, il tuo prodotto e il tuo servizio? Parli di benefici, caratteristiche, fatti, numeri.  E il tuo ascoltatore? Ascolta e razionalizza, con la prima parte del cervello. Il problema è che non è quella la parte del cervello che prende le decisioni, ma con la parte del cervello adibita ai sentimenti, all’istinto.

l’obiettivo non è vendere a gente che ha bisogno di ciò che avete; l’obiettivo è vendere a gente che crede in quello che fate.

Ma perché è importante attrarre coloro che credono in ciò che credete? Per la legge della diffusione dell’innovazione.

La legge della diffusione dell’innovazione

Quando esce un nuovo prodotto particolarmente innovativo ti ricordi che succede? Prendi la prima vendita dell’Iphone 7, tanto per rimanere in ambito Apple.

Bene, alla prima dell’Iphone 7 si verificano puntualmente le cronache di code chilometriche di persone che vogliono avere in anteprima il nuovo modello. Fanatici? Per Sinek queste persone, che rappresentano il 2,5 per cento della popolazione, rappresenta la quota di innovatori. Il successivo 13 per cento della popolazione sono gli utilizzatori precoci. Il successivo 34 per cento è la prima maggioranza, la maggioranza ritardataria e i lenti.

La legge della diffusione dell’innovazione ci dice è che se vogliamo il successo di massa di un’idea non la si può ottenere finchè non si raggiunge questo punto di svolta tra il 15 e il 18 per cento di penetrazione del mercato.

Come raggiungere la maggioranza, il 15 e il 18 per cento di penetrazione del mercato? Raggiungendo prima coloro di cui queste persone si fidano, gli innovatori.

Sì, perchè secondo Sinek di Partire dal perché, la prima maggioranza non proverà qualcosa finché qualcun altro non l’ha provata prima. E queste persone sono proprio gli innovatori, quel 2,5% che sarebbe capace di fare una fila di 6 ore per il nuovo modello di Iphone, che sarebbe capace di spendere migliaia di euro per la next big thing tecnologica.

Ma questo 2,5%, gli utilizzatori precoci, non decidono sui numeri. Sui benefici. Sulla lista di buoni motivi. Non decidono con la parte razionale del cervello, ma con l’impulso, l’istinto, prendono decisioni guidate da ciò in cui credono nel mondo, dal perchè, non dal come.

Per dirla con Sinek di Partire dal perché:

La gente non compra ciò che fate; compra il motivo per cui lo fate. E ciò che fate semplicemente testimonia ciò in cui credete. Di fatto, la gente fa le cose che testimoniano ciò in cui credono. 

Adesso capisci cos’avevano di diverso Apple, M.L. King e i fratelli Wright. Avevano un perchè prima di un come, avevano una mission, credevano in qualcosa, e hanno cercato persone che condividessero quella fede. Forse non è un caso che si definisca “fanatismo” l’adesione a una fede in modo incondizionato: ma qui (fortunatamente) la fede che sono riusciti a trasmettere questi grandi ha partorito grandi cause e invenzioni di cui non smettiamo di essere grati.

Se il Segreto del successo di Apple, King e i fratelli Wright è essere partiti dal Perchè, perchè non iniziare a definire qual’è il perchè dell’impresa che porti avanti, della causa che sostieni?

Perchè non partire dal valore che vuoi trasmettere, da ciò in cui credi, piuttosto che partire da un obiettivo di fatturato?

Conclusioni

Qual è la tua mission? Il perchè che ti fa alzare la mattina? Scrivimela nei commenti!

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Alla tua crescita personale,

firma emanuele

pareto 80 20

Se stai leggendo questo articolo probabilmente appartieni al club della corsa. No, non quello che ti fa correre 10 km 2 volte a settimana e ti fa pure bene 🙂 , ma quello che “il tempo non è mai abbastanza” “24 ore sono troppe poche” e “non c’è mai tempo di finire le cose”.

Tranquillo, ne faccio parte anch’io, spesso e (poco) volentieri. Per aiutarci ci viene incontro Timothy Ferris in 4 ore alla settimana. Ricchi e felici lavorando dieci volte meno, ricordandoci che esistono 2 approcci diversi all’aumento della produttività: il Principio 80/20 e la Legge di Parkinson. Nonostante siano uno il rovescio dell’altro, possono essere usati insieme in modo sinergico. Vediamoli insieme.

Il Principio di Pareto (80/20)

Il principio 80/20, detto anche Principio di Pareto in onore dell’economista italiano che per primo lo ha formalizzato, dice in sostanza che la grande maggioranza degli effetti sono causati da una ridotta quantità di cause. Per quanto questa teoria nasca in ambito economico per spiegare la distribuzione mondiale della ricchezza ( come ha rilevato Pareto l’80% della ricchezza è in mano al 20% delle persone), il principio che sta alla base può essere applicato anche alla vita di tutti i giorni. Se ti metti a tavolino e ci pensi un pò su, potresti scoprire ad esempio che

  • l’80% del tuo fatturato viene dal 20% dei tuoi clienti o dei tuoi servizi / prodotti;
  • l’80% del tuo stress viene dal 20% delle cause;

And so on. Attenzione! 80 e 20 non sono numeri fissi, lo stesso Pareto afferma che in natura esistono casi di applicazione di questo principio dove il rapporto è 90-10 o 70-30, in ogni caso quel che conta è il concetto che sta alla base, ovvero:

la grande maggioranza degli effetti di un fenomeno è data da una piccola minoranza delle cause.

La Legge di Parkison

E veniamo al secondo approccio per l’aumento della produttività: la Legge di Parkinson. La Legge di Parkinson afferma che

l’importanza e la complessità percepite di un compito aumentano in rapporto al tempo assegnato per la sua esecuzione

Cioè, detta in maniera terra terra e pure un pò brutale: se al lavoro ti viene assegnato un compito e ti viene detto “hai 7 giorni per completarlo”, sai quanto impiegherai per portarlo a termine? Esatto, 7 giorni.

Ma se il tuo capo ti puntasse una pistola alla testa e ti dicesse: “devi finirlo entro 2 ore” (sì lo so, fa molto Kevin Spacey in “Come amazzare in capo e vivere felici” 😉 ), sai quanto impiegherai per portalo a termine? Esatto, ben 2 ore, 120 minuti.

Com’è possibile che per un medesimo compito la stessa persona possa impiegare 2 ore oppure 168 ore (7 giorni)??? Elementare Watson, è la Legge di Parkinson.

Ecco come si spiega: quando le scadenze sono ravvicinate, la pressione del tempo costringe a concentrarsi e fare solo le cose essenziali al raggiungimento dell’obiettivo.

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Ho sottolineato le cose essenziali non a caso (non mi è partito il mouse): spesso ci nascondiamo dietro a scuse come “non ho tempo”, “le giornate sono troppo corte” e non dico che non ci possa essere un fondo di verità in queste affermazioni (a proposito, hai provato a guadagnare ore con il sonno polifasico?), ma spesso corriamo avanti e indietro, o sarebbe meglio dire che corriamo in tondo come un criceto sulla ruota (per citare una metafora cara a Robert Kiyosaki).

Insomma, siamo attivi ma non produttivi.

C’è un bella differenza tra essere attivi ed essere produttivi: nel primo caso non abbiamo un minuto di tempo, corriamo avanti e indietro perchè ci sono “1000 cose da fare” e, chissà perchè, nonostante tutte queste corse alla fine si combina sempre troppo poco. Nel secondo caso siamo sì impegnati, ma a portare a termine le cose veramente essenziali per il raggiungimento di un obiettivo.

Il punto è che spesso vogliamo tenerci in attività solo per evitare di fare le cose che sappiamo essere veramente importanti per il raggiungimento dei nostri obiettivi, quelle che ci rendono produttivi e non solo attivi, ma che in cuor nostro evitiamo di fare perchè violano la nostra zona di comfort.

comfort zone

Le “attività stampella”

A volte il tempo non è mai abbastanza per fare  le cose veramente importanti perchè ci circondiamo di “attività stampella”, come le chiama Ferris in 4 ore alla settimana, ovvero attività che usiamo per rimandare quelle importanti, perchè queste ultime potrebbero essere dolorose: magari a quella telefonata il cliente potrebbe arrabbiarsi, o il contratto non partire…meglio sentirsi attivi aggrappandosi, come a una stampella, ad altre attività: d’altra parte il cambio della cartuccia non può proprio aspettare 😉

Come aumentare la produttività con Pareto e Parkinson

Come puoi aumentare la produttività tenendoti lontano dalle attività stampella? Applicando i due principi visti finora, il Principio 80/20 di Pareto e la Legge di Parkinson, in questo modo:

  • concentrati solo sulle attività essenziali (il 20) che generano l’80% dei risultati, diminuendo così il tempo di lavoro;
  • diminuisci il tempo previsto per il termine dei compiti accorciando le scadenze, così da dover limitare i compiti a quelli essenziali.

Per dirla con altre parole, individua quelle che sono le poche attività veramente importanti per i tuoi i risultati e scegli o di fare solo quelle; d’altra parte, accorcia le scadenze in modo da non avere il tempo se non per dedicarti solo alle cose veramente importanti.

Insomma, un circolo virtuoso della produttività!

La tecnica del Post IT

Ok, figo mi dirai tu, ma come faccio? Tranqui, ci viene in aiuto ancora il buon Timothy Ferris in 4 ore alla settimana, con la tecnica del Post IT.

Hai presente i Post It? Prendine uno, scrivici sopra una frase e appicicalo bene allo schermo del tuo PC, dove puoi sempre vederlo e dove dovresti leggerlo almeno 3 volte al giorno, in momenti diversi della giornata.

Cosa c’è scritto sul Post IT?

Image
La tecnica è semplice: prendi un Post IT e scrivici sopra questa frase minacciosa: “Sono produttivo o soltanto attivo?” So che dovrei fare quella telefonata per chiudere il contratto importante (produttivo) ma devo proprio ricaricare la cartuccia della stampante – aggiornare l’antivirus – fare la coda in posta per una busta (attivo)?

5 domande per passare dall’attività alla produttività

Hai scritto il Post IT? Non avrai mica indugiato in un’attività stampella vero?! 🙂

Ecco 5 domande che Timothy Ferris in 4 ore alla settimana consiglia di porsi per passare dall’attività cieca alla produttività illuminata:

  1. Se fossi colpito da una malattia che ti rende inabile al lavoro (hai toccato ferro o esultato?! 🙂 ) e potessi lavorare solo 2 ore al giorno cosa faresti? Che attività (superflue) saresti costretto ad eliminare? Cosa resta?
  2. la malattia peggiora: sei costretto a lavorare 2 ore a settimana (!): cos’altro elimini? Cosa rimane di veramente importante? E’ il 20% che genera l’80% dei tuoi risultati.
  3. quali sono le attività perditempo che, se eliminate, avrebbero un impatto minimo sui risultati?
  4. quali sono le prime 3 attività che usi per sentirti attivo e procastinare il da farsi? Qual’è la tua pole position delle attività stampella?
  5. qual’è l’unica cosa che se portassi a termine oggi ti renderebbe soddisfatto?

Non sono domande facili, perchè tirano fuori parecchi scheletri nell’armadio (o amanti sotto il letto).

Mettiti subito in azione: procurati un post IT e appicicalo sullo schermo del PC, o dove puoi averlo sempre nel tuo campo visivo.

Metti una sveglia sul cellulare alle 10:30, alle 15 e alle 17 che ti ricordi di porti quelle 2 domandine scomode:

“Sono produttivo o soltanto attivo? Sto inventando delle cose da fare per evitare quella importante?

Conclusioni

Hai attaccato il Post IT? Io sì, e ti assicuro che funziona bene. A volte mi ritrovo a giustificarmi con lui (troppo sole dà alla testa) del fatto di indugiare in attività non produttive 😉

Joking Apart, fammi sapere nei commenti come ti trovi con questa tecnica e le 5 domande…fallo subito, non indugiare in attività stampella 🙂 !

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Che cos’è la resilienza

<<Quando la vista rovescia la nostra barca, alcuni affogano, altri lottano strenuamente per risalirvi sopra. Gli antichi connotavano il gesto di tentare di risalire sulle imbarcazioni rovesciate con il verbo “resalio”. Forse il nome della qualità di chi non perde mai la speranza e continua a lottare contro le avversità, la resilienza, deriva da qui.>>

Sono le parole iniziali di Resisto dunque sono, bestseller dello psicologo Pietro Trabucchi, dedicato alla tema della resistenza psicologica, altrimenti detta resilienza.  E’ un termine che forse non avrai mai sentito, derivato dalla metallurgia, il cui significato indica la capacità del metallo di resistere alle forze che vengono applicate.

Io e te, in quanto esseri umani, siamo progettati per affrontare difficoltà e stress, ma la resilienza ad esse può essere migliorata e potenziata.

Per dirla con le parole dell’autore:

Tutti gli organismi viventi, di fronte agli stimoli ambientali, si adattano o muoiono: gli unici che contemplano una terza possibilità, quella di auto-commiserarsi, sono gli esseri umani

Non esistono dati, ma presi: la valutazione cognitiva

Lo stress, le difficoltà esistono: ne ho io, ne hai tu, ne ha persino il mio cagnolino Kiwi.

Il punto, secondo Trabucchi, è che noi reagiamo ad esse in base a come le interpretiamo, ovvero in base alla valutazione cognitiva che vi diamo. Per dirla con le parole di Trabucchi in Resisto dunque sono:

le persone non sono stressate dagli eventi in sé, ma dal modo in cui li interpretano.

Ovvero noi non abbiamo mai a che fare con dei “dati”, ma con dei “presi” (bel gioco di parole no? 😉 ): tutti gli stimoli, compresi stress e difficoltà, sono sempre interpretati da noi in un certo modo, non sono mai “oggettivi”.

A questo punto capisci una cosa importante: se non esiste uno stress, una difficoltà “oggettiva”, ma solo interpretata, e l’interpretazione gliela diamo noi…perchè non dare allo stress, alle difficoltà di tutti i giorni un’interpretazione utile, funzionale?

Possiamo decidere di dire “che palle, fa tutto schifo”, oppure pensare ad un’intepretazione diversa della vicenda, tanto pur sempre di nostre interpretazioni si tratta, right?

Il punto è che alcune intepretazioni degli eventi sono più funzionali di altre,  ci rendono più resilienti e ci aiutano maggiormente a raggiungere i nostri obiettivi.

Alla luce di questi presupposti, come funziona una tipica situazione di stress?

Mi dirai: lo so, lo provo ogni mattina dalle 9 alle 18, e talvolta anche dopo quando torno a casa 🙂

Ok, ma vediamo come funziona fisiologicamente, sempre ritornando al testo di Trabucchi.

Innanzitutto c’è uno stressor, un fattore che genera stress: può essere un problema di lavoro, in famiglia o altro. Lo stressor viene filtrato attraverso la nostra valutazione cognitiva, che gli assegna un certo peso. La valutazione cognitiva comporterà una certa reazione, emozionale, comportamentale, fisiologica.

Ok, ricapitoliamo: c’è un fattore scatenante, il tuo capo che ti riempie di parole, tua moglie che ti riempie di parole, tuo figlio che piange e il cane non la smette di abbaiare. Bel quadretto eh ;-)? Però attenzione: hai un fattore di controllo. Sai quale? Sei tu.

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Controllo interno ed esterno: oltre l’ottimismo a buon mercato

<<Che tu creda di potercela fare o non farcela, avrai comunque ragione>>

Henry Ford

Se vuoi raggiungere un obiettivo, c’è poco da fare, ci saranno momenti di stress e difficoltà, inevitabilmente connessi con la sua realizzazione. Attenzione però, lo stress non “capita” punto e basta, ma noi gli diamo una bella mano. Come? Filtrandolo attraverso la nostra valutazione cognitiva, ovvero la valutazione, il peso che gli diamo.

Ma allora qual’è la giusta valutazione da dare agli eventi stressanti, nello sport e nella vita? Quella che fa sì che i campioni, nello sport e nella vita di tutti i giorni, vincano le loro battaglie? Rullo di tamburi, eccola: è l’attribuire il proprio successo o insuccesso alla mancanza di impegno.

Impegno??? Non era la sfiga?

Tieniti forte: secondo una ricerca riportata in Resisto dunque sono, svolta su atleti di alto livello in tante discipline, è emerso come gli atleti migliori sono quelli che si allenano di più. Ok, si fanno un gran c…. E sai perchè? Questo avviene perchè sono convinti che la possibilità di vittoria o sconfitta sia sotto il loro controllo, ovvero hanno un senso di controllo interno e non esterno.

Il concetto di controllo interno, teorizzato nel 1966 da J. Rotter, indica il modus ragionandi (ogni tanto ho dei retaggi del liceo, sorry 🙂 ) delle persone che ritengono che raggiungere o meno un obiettivo dipenda da loro in massima parte. Ciò forma lo “stile resiliente”, ovvero il soggetto che attribuisce il suo successo all’impegno e viceversa.

Hai capito bene: se le situazioni sono sotto il tuo controllo (e non del fato, della sfiga o del tuo capo) il tuo impegno fa la differenza tra raggiungere un risultato o meno. Detta in other words: non sono il talento o cause esterne la causa dell’insuccesso, ma la mancanza di impegno. E (pure!) ottenere quel che si vuole genera un piacere di farcela che ha fondamenti biologici, in specifici neurotrasmettitori.

E qui scomodo una citazione:

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Il problema non è il gatto sulla luna dell’immagine (l’avevi notato vero??? 🙂 ) ma la nostra coscienza, la tua e la mia.

Sì perchè se Trabucchi in Resisto dunque sono e il Dr. Rotter ci insegnano che il raggiungimento dei nostri obiettivi dipende da noi, e solo da noi (almeno al 90%, un 10% di sfiga te la concedo 😉 ) come facciamo a raccontarci le solite storielle?

Ecco un pò di repertorio:

Non è colpa mia, è che non sono portato con…(completa a tua piacere)

E’ colpa di mia madre se sono così (il capro espiatorio per eccellenza)

and so on.

Attenzione: più sopra abbiamo detto che alcune intepretazioni degli eventi sono più funzionali di altre, e anche il controllo è una di queste.

Sì, anche la convinzione di avere il controllo è un’interpretazione. Funzionale però!!! Insomma, non conta avere effettivamente il controllo sugli eventi, ma la convinzione di possederlo.

Inoltre, la convinzione del controllo porta a un circolo virtuoso in cui io sono convinto di poter influenzare gli eventi, mi impegno, realizzo i miei obiettivi, confermando la convinzione iniziale.

Ok, mi dirai tu, ma come creo la convinzione di avere il controllo, di potercela fare??? In 2 modi.

Trasferire il contesto

Se hai bisogno della convinzione di potercela fare in un campo a te nuovo, puoi trasferire in questo la convinzione di avercela fatta in un altro campo della tua vita.

Facciamo un  esempio: immagina di non conoscere l’inglese e vorresti tanto impararlo bene. Non sei convinto di potercela fare, ti ripeti “la mia famiglia non mi dà il tempo di impararlo” (controllo esterno) o “non sono mai stato portato per le lingue”.

D’altra parte, hai imparato bene a suonare il violino: dopo anni di impegno e dedizione, sei un ottimo violinista. Perchè allora non trasferire la convinzione di saper suonare il violino sull’apprendimento dell’inglese? Sempre di apprendimento si tratta, basta trasferire a un contesto diverso il metodo usato.

Difficoltà progressive

Un altro metodo è applicarti allo studio dell’inglese passo dopo passo, con piccole difficoltà progressive: questo ti darà nuove convinzioni, motivazioni e creerà nuove strutture neurali nel cervello.

Ancora: invece di pensare “nel mio metodo di inglese mancano 300 pagine”, concentrati sulle prossime 3 da fare. In questo modo cambierai valutazione dell’evento (la tecnica è chiamata framing, proprio perchè consente di cambiare frame, cornice di riferimento).

 Saper perdere e tirare dritto

<<Sbagliate il cento per cento dei colpi che non tirate mai>>

Wayne Gretzky

Un’altra caratteristica dello stile resiliente, secondo Trabucchi, è la capacità di incassare le sconfitte e perseverare nell’intento. Capacità non banale, dato che nella società odierna sembra farsi strada il mantra del “tutto e subito”, simile al principio di gratificazione immediata dei bambini, che vogliono appunto tutto, e subito 🙂

Il punto, secondo Resisto dunque sono, è superare il principio di gratificazione immediata dei bambini e passare al principio di realtà degli adulti, secondo cui gli obiettivi non vengono raggiunti se non con fatica e impegno.

Rialzarsi: Imparare dagli errori e Ristrutturare l’esperienza

Ok diciamola tutta: anche i geni fanno errori. Se leggi le biografie dei geni del nostro tempo, anche loro ammettono di aver sbagliato, a volte di aver fatto anche delle cazzate madornali.

Vuoi qualche esempio? Richard Branson, l’imprenditore creatore del gruppo Virgin, ha ammesso tranquillamente di aver cannato nell’avviare un paio di attività come Virgin Bride e Virgin Cola (oh ragazzi, la coca cola è sempre la coca cola 🙂 ).

Donald Trump, altro grande imprenditore ora impegnato a candidarsi alla Casa Bianca, è fallito 2 volte.

E che dire di Edison, che ha fallito 10.000 volte prima di riuscire a inventare la lampadina?

Prendiamo proprio Edison: sai cos’ha risposto a chi gli chiedeva cosa si è detto, ovvero, per dirla alla Resisto dunque sono, che valutazione cognitiva ha dato ai suoi centinaia di tentativi fallimentari?

<<non ho fallito: ho trovato solo 10.000 vie che non funzionano>>

edison

Una volta che ha fallito, lo “stile resiliente” non solo sa tirare dritto, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, ma è in grado anche di imparare dai propri errori e dare un’interpretazione funzionale all’esperienza subita proprio come Edison.

La capacità di vedere sotto una diversa prospettiva un evento negativo è già insita, come richiama giustamente Trabucchi in Resisto dunque sono, nell’etimologia del termine greco krisis, che significa “scelta” (e ridaje con il retaggio del liceo 😉  ).

La scelta, in un momento di crisi, è di cedere e trasferire il controllo dell’evento all’esterno (al fato, ad altri) o rialzarsi, ristrutturare cognitivamente l’evento e vederlo come un’opportunità, perchè

<<gli imprevisti, le difficoltà, i cambiamenti, persino il dolore rappresentano delle opportunità: opportunità che ci costringono a scegliere>>

Pietro Trabucchi

Se hai avuto un momento negativo e l’hai superato, pensaci: a posteriori probabilmente quella situazione ti è servita, stata utile, a cambiare in meglio qualche aspetto della tua vita: è stata un’opportunità che ti ha obbligato a scegliere un’altra strada.

Essere capaci di sperare

<<Non vi sono situazioni disperate: vi sono solo coloro che disperano di potercela fare>>

C. B. Luce

Ultima caratteristica della persona resiliente è la capacità di sperare. Da un punto di vista fisico, numerosi studi dimostrano la correlazione tra speranza e salute fisica del paziente (pensa all’effetto placebo); da un punto di vista psicologico, la capacità (perchè di capacità si tratta, e in quanto tale apprendibile!) di sperare è caratteristica delle persone ottimiste, nel senso in cui il Dr. Seligman concepisce la distinzione tra ottimista e pessimista, ovvero nel confronto tra pervasività e permanenza.

La nota teoria del Dr. Seligman, autore di Imparare l’ottimismo. Come cambiare la vita cambiando il pensiero, è che il “pessimista” tende a vedere i problemi come permanenti nel tempo e pervasivi, ovvero non limitati alla sfera di appartenenza, ma simboli di un fallimento su tutta la linea.

Come aumentare le propria resilienza

A questo punto la domanda sorge spontanea: se hai detto (non io lo dice Trabucchi 🙂 ) che la Resilienza è una capacità che si può apprendere, come la posso imparare?

Vediamo 2 modi.

La tecnica ABCDE

La tecniche ABCDE, dello psicoterapeuta Albert Ellis, è acronimo di

  1. avversità
  2. credenze (beliefs)
  3. conseguenze
  4. discussione (messa in)
  5. effetti

Hai una difficoltà? Sei in una situazione stressante? Sei al punto A. Il problema che, come abbiamo visto, le tue credenze (punto B) sulla tua situazione portano a delle conseguenze (punto C). A questo punto che ne dici di mettere in discussione quelle credenze (punto D) sostituendole con altre più utili? Ne vedrai subito gli effetti positivi (punto E).

La Meditazione

Superare le difficoltà con la meditazione? Forse che sì, forse che no. Certo è che , secondo Resisto dunque sono, la meditazione ci insegna a concentrarci sul nostro pensiero, ad identificare la spazzatura e a correggere il tiro. Per dirla con il linguaggio informatico, GIGO, “Garbage In , Garbage Out, “Spazzatura Dentro, Spazzatura Fuori.

Conclusioni

Cosa ne pensi della resilienza? Ti ritrovi in qualcuna di queste idee? Hai una storia di resilienza da raccontarmi? Parliamone nei commenti.

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lettura veloce

Quanti libri riesci a leggere in un mese? Uno? Due? E se ti dicessi che esistono delle che consentono di aumentare un minimo di 5 volte la tua velocità di lettura? Le tecniche di lettura veloce non solo nuove: uno dei maggiori rappresentanti di questa disciplina è Tony Buzan, autore del libro Lettura veloce. Impara a leggere velocemente migliorando la comprensione del testo. Secondo Buzan, la velocità media di lettura il parole al minuto (PAM) di una persona adulta è di 200 parole al minuto. Sempre secondo l’autore, solo chi ha una formazione universitaria riesce a raggiungere una velocità di lettura pari a 400 parole al minuto.

I 2 miti da sfatare sulla lettura veloce

Ci sono 2 miti sulla lettura veloce da sfatare:

  1. La prima convinzione errata e che non si possa leggere più velocemente della propria attuale velocità di lettura;
  2. La seconda convinzione sbagliata, ancora diffusa, che leggere più velocemente comporta di conseguenza una peggiore comprensione del testo.

Riguardo al primo mito, il dato interessante è che, secondo coloro che utilizzano le tecniche di lettura veloce, si può arrivare a un minimo di 1000 parole al minuto: dico minimo, perché gli attuali detentori del titolo mondiale di lettura veloce arrivano a leggere a poco meno di 4000 parole al minuto.

Non solo: la lettura veloce, lungi dal compromettere la comprensione del testo, l‘aumenta.

Imparare a leggere velocemente, migliorando il numero di parole al minuto e mantenendo un’elevata percentuale di comprensione del testo, è un processo che si articola in due fasi:

  1. Correggere i difetti di lettura che impediscono di leggere velocemente;
  2. Apprendere e praticare le tecniche di lettura veloce.

I 2 motivi per cui non leggi velocemente

I difetti di lettura che molto probabilmente ti impediscono di leggere velocemente si possono ricondurre a due:

  1. Fissazioni: sono i punti in cui l’occhio si ferma durante il processo di lettura. È facilmente intuibile come meno fissazioni facciamo, più velocemente possiamo leggere;
  2. Salti all’indietro o regressioni: un secondo difetto che impedisce una velocità di lettura ottimale è la tendenza a ritornare a leggere parti di testo già lette nella convinzione di non averle capite approfonditamente; anche in questo caso, è facilmente intuibile come l’eliminazione o la riduzione delle riflessioni comporta un aumento della velocità di lettura.

Come organizzare l’ambiente ideale per leggere rapidamente

Oltre alle tecniche di lettura veloce di cui andremo a parlare poco, ci sono delle condizioni ideali in cui la lettura veloce viene facilitata: sono condizioni relative all’ambiente in cui si legge e al proprio approccio al materiale di lettura. Vediamoli insieme.

L’illuminazione della stanza

La lettura ideale avviene con la luce solare, che dovrebbe giungere dalla direzione opposta rispetto a quella che usi per scrivere, per evitare riflessi zone d’ombra. Nel caso tu legga di sera, fai attenzione alle lampade da tavolo: devono essere posizionate in modo appropriato per evitare affaticamento degli occhi e difficoltà nella lettura. La condizione ideale in cui mettere la lampada è in modo che illumini il libro dall’alto.

Sedia e scrivania

La sedia in cui svolge la lettura non dovrebbe essere né troppo scomoda né troppo morbida: nel primo caso, il rischio di praticare la lettura in una condizione non agevole, nel secondo caso il rischio di essere troppo rilassati e quindi di addormentarsi. D’altra parte, la scrivania dovrebbe essere 20 cm più alta della sedia.

Distanza del libro dagli occhi

La distanza del libro dagli occhi dovrebbe essere di 50 cm: questo è molto importante al fine di una lettura rapida, in quanto mantenendo un’adeguata distanza del libro dagli occhi possiamo focalizzare l’attenzione su un maggior numero di gruppi di parole, una delle tecniche più efficaci al fine della lettura veloce.

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Il tuo miglior alleato per leggere velocemente? La tua matita!

iL miglior alleato per leggere velocemente un testo è una guida, come ad esempio una penna, o una matita: dato che l’occhio umano è progettato per seguire i movimenti, l’utilizzo di un oggetto lungo e sottile consente di leggere velocemente. L’utilizzo della guida dovrebbe avvenire mantenendo la penna o la matita nella parte centrale della pagina in modo tale da mantenere la concentrazione sul testo e allo stesso tempo consentire al proprio umano di leggere un gruppo di maggiore di parole diminuendo le fissazioni, che abbiamo visto essere uno dei due tipi principali di una lettura lenta.

Un altro modo per utilizzare l’abilità lo suggerisce nel proprio blog Timothy Ferris, autore dei Best-Seller 4 ore alla settimana. Ricchi e felici lavorando dieci volte meno
e 4 ore alla settimana per il tuo corpo. Secondo Tim, uno dei metodi più efficienti per aumentare la propria velocità di lettura usando una guida, è far scorrere il puntatore sotto ogni riga per al massimo un secondo, concentrandosi sul primo e l’ultimo gruppo di parole della frase. Quest’ultimo aspetto, è dovuto dal fatto che l’occhio umano ha una grande capacità di visione periferica, ha quindi la capacità di cogliere nel proprio campo visivo un grande numero di parole.

3 Tecniche di lettura veloce per rafforzare la visione periferica

Il sistema visivo umano può fotografare un’intera pagina in un 1/20 di secondo e dunque un libro di medie dimensioni in un intervallo di tempo tra 6 e 25 secondi, e l’intera Enciclopedia Britannica in meno di un’ora. Tony Buzan

Il tuo occhio è molto meglio di una macchina fotografica: non ci credi? Pensa a quando guidi: quante cose entrano nel tuo campo visivo? Auto, cartelloni pubblicitari -dimmi che non sei mai  stato distratto da un cartellone di Intimissimi 😉 – persone, case, colori, segnali stradali…decine di informazioni in manciate di secondi. E perchè questo non dovrebbe valere per la lettura di un libro? Come abbiamo visto il nostro occhio ha una grande capacità di visione periferica, ma per stimolarla sono necessarie delle tecniche, le principali sono 3:

  1. lettura di due righe o più righe alla volta;
  2. leggere al contrario;
  3. lettura ad “S”;

In sostanza, per aumentare la velocità di lettura, le tecniche di lettura veloce si riducono a tre modalità: leggere più righe in contemporanea, leggere al contrario o leggere la pagina saltando qui è lì, come se stessi mentalmente disegnando una “S” con i tuoi occhi.

Impossibile? No! Come abbiamo visto l’occhio umano è predisposto a catturare grandi quantità di dati simultaneamente, quindi non devi per forza leggere ogni parola, perchè la visione periferica catturerà più parole per volta e il senso della frase, consentendoti di leggere con più velocità.

Orientati ed esplora con Scanning e Skimming

No, non sto parlando di usare lo scanner e di una nuova disciplina olimpionica, ma di 2 tecniche di lettura rapida che ti consentono di orientarti all’interno di un testo ed esplorarlo.

Lo Scanning è una modalità di visione esplorativa che ti consente, scorrendo le pagine, di cercare determinate informazioni; lo Skimming è la lettura orientativa, che cerca di fare una panoramica generale.

Conclusioni

Ti sei gasato? Pensi già a quanti libri potresti leggere in un anno? Inizia. Come? Magari con un software gratuito, come Speeder, che oltre a darti un’idea della tua attuale velocità di lettura ti consente di impratichirti e migliorarla.

Hai già sperimentato qualche tecnica di lettura veloce? Parliamone nei commenti!

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firma emanuele